sabato 21 gennaio 2017

GREEN recensito da MUSICA DIFFICILE ITALIANA

di Aaron Giazzon

Oi Amici! Torniamo a segnalare, portando alla vostra attenzione il nuovo lavoro del duo doom/ambient The Great Saunites. Dopo l’ottimo “Nero” dello scorso anno e segnalato qui su questo blog, i nostri tornano con un altro EP contenente due pezzi belli corposi (quasi 25 minuti per pezzo).
Il disco è fuori per le etichette Toten Schwan e Hypershape Records e, a differenza del precedente, si concentra non tanto sull’ambient quanto piuttosto sul buon vecchio space rock anni ‘70: liquido, libero, fluente.
Le due suite mettono in evidenza lo spirito libero del duo, che si lascia andare in riff, effetti e lunghissime divagazioni da gusto molto retrò. Un buona prova, dunque, per appassionati più che per neofiti, data la lunghezza non trascurabile dei pezzi e la particolarità della proposta.
Interessante il supporto: un’edizione limitata a sole 50 copie del disco, in buona tradizione da micro-etichetta noise.

http://musicadifficileitaliana.tumblr.com/post/155734695264/the-great-saunites-green

martedì 17 gennaio 2017

Recensione GREEN su SENTIRE ASCOLTARE


 di Stefano Pifferi

Green è la seconda parte della trilogia iniziata lo scorso anno con Nero e segna un ritorno dei due The Great Saunites alle sonorità più hard&heavy&acid che ne segnavano gli esordi; prima cioè delle varie contaminazioni che culminarono nella strana coppia formata con il sound-artist Attilio Novellino. L’attacco di questo nuovo lavoro lascia poco spazio a dubbi o problemi di collocazione: basso grasso, distorto e rotondo a tirare le fila e batteria in midtempo che ci catapulta indietro nel tempo agli esordi targati Om e prima ancora Sleep, ovvero la lezione sabbathiana rallentata e inselvatichita da anni e anni di desert sound, Kyuss e progenie tutta, ipnosi da funghi allucinogeni, volate di erba buonissima per paradisi artificiali in terra. Unite a queste coordinate ideologiche prima ancora che sonore, un certo gusto per la reiterazione – dopotutto due suite come Dhaneb e Antares da più di venti minuti l’una dicono molto dell’approccio ripetitivo e del gusto per la ciclicità ipnotica – e avrete esattamente tutto ciò che si ritrova in questo passo che cromaticamente degrada dal “nero” del primo volume verso un “verde” che ci piace immaginare non troppo torvo, quanto brillante come una cima di marijuana. Space-acid-rock dal peso specifico elevatissimo e sviluppato in the name of ganja, ma con un occhio di riguardo per il viaggione cosmico e la perdita della coscienza.

http://sentireascoltare.com/recensioni/the-great-saunites-green/

Recensione GREEN su LA CADUTA

di Giacomo Bergantini

Green, secondo capitolo della trilogia cromatica, uscito il 15 dicembre in una edizione super-limitata (50 copie) per Toten Schwan Records e Hypershape Records. La coppia Atros-Layola continua il lavoro iniziato un anno fa con Nero, proponendo tonnellate di psichedelia e riff ipnotici. Il canovaccio è semplice: due brani, oltre quaranta minuti di musica e l’obiettivo di trascendere la materia. Dhaneb e Antares, due composizioni monolitiche infarcite di riferimenti che dagli anni ’70, con particolare affezione per Hawkwind e Black Sabbath, passano per il krautrock fino ad arrivare ai più vicini Sleep e Om. Due tracce, in un certo senso, monotone: pur manifestando una importante “fisicità” nel suono, procedono incessantemente sullo stesso tema, focalizzandosi molto più sull’atmosfera che sulla composizione; ed è esattamente questo il gioco che i The Great Saunites vogliono farci giocare: ipnotizzare con la ripetizione per alienarci dalla materia, staccare i piedi da terra e farci ritrovare a vagare nel cosmo. Il rischio, però, a cui Green non è estraneo, è quello di ottenere l’effetto contrario. Ciclicità e ripetizione, spinte al parossismo, possono finire per perdere di mordente e disincantare l’ascoltatore piuttosto che ammaliarlo.

https://lacaduta.it/megarecensioni-vol-4-gennaio-2017-pt-1-898dbce43ba4#.9a0inxdog

GREEN recensito da METALEYES.IYEZINE

di Stefano Cavanna

Dopo oltre 3 anni dall’ottimo The Ivy, del quale avevo già avuto occasione di parlare sulle pagine di In Your Eyes, e circa ad uno di distanza da Nero, arriva l’atto secondo della trilogia iniziata proprio con quest’ultimo lavoro da parte dei lombardi The Great Saunites.
Rispetto ai due lavori precedenti, il duo composto da Atros e Leonard K. Layola spinge in maniera decisa e senza tentennamenti verso un impatto lisergico che avvolge nelle sue insidiose e piacevoli spire l’ascoltatore di turno: i brani sono solo due ma, insieme, assommano più di tre quarti d’ora di musica, con Dhaneb che martella implacabilmente reiterando le poche variazioni sul tema fino a portare all’assuefazione, ed Antares che viaggia sulla stessa falsariga, con la grande differenza che, mentre la prima traccia si placa nella sua parte finale, la seconda dopo circa un quarto d’ora intensifica ulteriormente suoni e ritmi.
Anche se qualcuno potrà sostenere che The Ivy fosse senz’altro più vario, alla luce della sua distribuzione su cinque brani piuttosto diversi tra loro, personalmente ritengo che, con Green, la band riesca a focalizzare molto meglio le proprie naturali pulsioni, lasciando da parte una vena sperimentale che, invece, era stata evidenziata maggiormente in Nero: a livello di approccio, inoltre, Green sembra ripartire da quello che era il brano migliore dell’album d’esordio, Medjugorje, del quale riprende l’impagabile ed ossessivo incedere.
Ciò che ne resta (molto) è una sorta di lunghissima jam session nella quale la noia è bandita se si hanno nel proprio dna i primi Pink Floyd, gli Hawkwind o gli stessi Ozric Tentacles, rispetto ai quali però i The Great Saunites possiedono un’anima ben più robusta.
Per chi apprezza i nomi succitati Green è un’opera che darà molte soddisfazioni, mentre magari potrebbe trovare qualche ostacolo in più nel penetrare in chi non ha familiarità con questi suoni: di sicuro, il fatto che quest’album sia di assoluto valore è un dato oggettivo, che depone a favore delle doti compositive dei The Great Saunites, capaci di provocare con la loro musica alterazioni di coscienza senza dover ricorrere a sostanze illegali, nonché in grado di prodursi in una progressione stilistica costate e priva di calcoli di convenienza.

http://metaleyes.iyezine.com/the-great-saunites-green/

sabato 14 gennaio 2017

Recensione TGS_GREEN su ONDAROCK

di Michele Saran

 I Great Saunites, il basso distorto di Atros (Marcello Agroppi) e la batteria infaticabile di Leonard Layola (Angelo Bignamini) danno un veloce seguito a “Nero” (2016) con “Green”.

I venticinque minuti di “Dhaneb” sono un allenamento space-rock incredibilmente statico, niente a che vedere coi mastri Hawkwind. L’unica parte appena più avvincente è una variazione a passo cingolato con il basso che ulula feedback, ma che poco si discosta da una confusa routine psichedelica: dopo più di dieci minuti di progressione, il clima del brano non cambia; svanisce in una landa lisergica prima di riprendere col tempo primo.

Il furore, più brasileiro che cosmico, di “Antares” (ventun minuti) ha uno sprint e una frenesia forse superiori. Dopo quattro minuti sembra però aver già esaurito il carburante, come una “Interstellar Overdrive” dei Pink Floyd che interrompe il processo di disintegrazione, rimanendo a mezz’aria tra improvvisazione e ripetizione inebetita del tema.

Secondo capitolo di una trilogia “cromatica”, registrato e pubblicato nello stesso anno del predecessore. Nobilissime le intenzioni, solo due brani estesi, che però si possono asciugare a - forse - due idee per brano, e rimasticate. Puntano alla trance, ci riescono in parte perché a eruttare sono sensazionalismo ed esibizionismo. Sforzo fisico, quello sì notevole, più che musicale. Il canto (fantasma) in "Dhaneb" è di di Mike B dei Viscera.
Tiratura limitata con “visual layouts” di Giorgio Salmoiraghi. Co-produzione con Toten Schwan.

http://www.ondarock.it/recensioni/2016-greatsaunites-green.htm

lunedì 9 gennaio 2017

GREEN recensito su SODAPOP WEBZINE


 di Emiliano Zanotti

Il duo The Great Saunites è simile a un elettrone che orbita intorno al nucleo che rappresenta la loro idea di musica: sappiamo che sono lì ma il punto preciso è imprevedibile. Green – secondo capitolo della trilogia dedicata ai colori e prodotto in un numero limitatissimo di copie – li vede muoversi seguendo le traiettorie di due lunghe jam per un totale di oltre tre quarti d’ora di musica che si dirige verso un punto chiaramente indicato dall’immagine di copertina opera di Stefano Gerardi. Dhaneb parte come degli Om che abbiano barattato la ricerca della trascendenza con una buona dose di immanenza e ci delizia con un fugace e inedito inserto vocale (opera dell’ospite Mike B.) in quello che è uno dei momenti migliori nella discografia del duo; si prosegue con l’inserimento di una chitarra che ricama blues etereo su ritmiche corpose e dopo un breve momento di riflessione, si chiude con un orgoglioso scatto hard. Antares raccoglie il testimone partendo senza far sconti, poi si assesta veleggiando in un’atmosfera sognante non lontano da certe cose della Squadra Omega (chissà perché The Great Saunites non godono presso il pubblico dello stesso appeal…) ma poi l’anima grezza – per inciso quella che più ci piace e nella quale i due trovano la loro ragione d’essere – torna a farsi sentire con batteria e basso che macinano groove in un crescendo infinito come un trapano a percussione che lavora senza pause fino all’inevitabile fuorigiri, che pone fine al disco. The Great Saunites sono un gruppo cocciuto che, giocando con elementi  sempre più o meno uguali, gira intorno ad un’idea di suono esplorandone ogni anfratto: ad un primo ascolto vi sembreranno gli stessi lasciando poi emergere le differenze col tempo. A tutt’oggi non si ravvisano segni di stanchezza.

http://www.sodapop.it/phnx/great-saunites-green-hypershapetoten-schwan-2016/#reviews