di Michele Saran
Dopo una discreta pausa, già più lunga dei loro soliti standard, il duo lodigiano dei Great Saunites (Marcello “Atros” Groppi e Angelo “Leonard Layola” Bignamini) torna con un disco nuovamente ambizioso, “Nero”.
La traccia eponima di 19 minuti all’inizio raduna qualche cliché della psichedelia (loop
di gong in stereofonia) ma rinnovandoli nella caratura sonica (una
suadente danza industriale elettronica), che in chiusa si rarefanno in
scampoli di musique concrete e tocchi diafani di marimba. Le
loro ormai tipiche cavalcate cosmiche di basso e batteria a mo’ di raga
sono invece più sottofondo brumoso che devastazione, e anche i miasmi
elettronici si fanno decorazione: nel suo insieme la suite è stanchina e
non così coesa.
“Lusitania” (9 minuti) mantiene la medesima impostazione, ma con più forza sciamanica (la ripetizione ad libitum di semplici figure tribali di batteria e dei riff a glissando del basso crea ancora una buona catarsi), anche se poi scala marcia in una stasi plumbea Pink Floyd-iana.
Il
rondò dell’ideale sonata, “Il quarto occhio”, aumenta ancora la
tensione, poi attraversa un’oasi nera di riverberi dub, e si ricollega
al primo riff della title track per chiudere il cerchio (ma non fa il botto).
Successore, più che del monolite “The Ivy” (2013), dell’esperienza con Attilio Novellino nella jam improvvisata “Radicalisme Mecanique” (2014), e - certo - di quella interna con Lucifer Big Band.
Ne eredita la parte più creativa e più fascinosa, il contorno
purtroppo, sculture di suono che circondano senza posa e con dosata
cupezza l’interplay dei due. Una sostanza musicale ancora incerta se fare il grande passo o rimanere al sicuro.
Altra co-produzione: Hypershape, Il Verso Del Cinghiale, HYSM?, Neon Paralleli. Rico al mixer.
http://www.ondarock.it/recensioni/2016_greatsaunites_nero.htm
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