di Romina Baldoni
Abbiamo già conosciuto il valido duo lodigiano The Great Saunites che
ha saputo stupirci per la densità oscura e avvolgente del loro suono,
capace di ammaliare e coinvolgere emotivamente, tanto nei concept da
studio, quanto nelle performance live. Sono Atros al basso e Leonard Layola ai tamburi. La
loro originalità si basa su ingredienti semplicissimi, il loro prodigio
sta semplicemente nell’abilità di dosaggio di questi ingredienti.
Fanno entrare in un dialogo
disarticolato e rutilante le asperità tribali di basso e batteria,
montano un groove che inizialmente sembra spastico e slegato ma poi
prende piede incuneandosi in stratificazioni sempre più spesse e
ossessive, in un lento e inesorabile incedere cavernoso e ostinato,
furente e vorticoso fino a inattese dispersioni psichedeliche. Le
tensioni si allentano smontando questi cumuli ottenebranti di materica
pesantezza con brillanti arguzie elettroniche, con una serie di inserti
rumoristici ed effetti che si propagano e cadono in dissolvenza. "Nero",
quarto disco in ordine di arrivo, segue anch’esso, come per i lavori
precedenti, lo sdoganamento dal rigore della suddivisione in brani.
Si tratta sempre di concezioni molto
omogenee che avanzano in modo non programmato e per percorsi inattesi.
Nel caso in questione sono tre atti che potrebbero riflettere tre
possibili vie di fuga partendo da identici elementi narrativi. L’omonima
Nero rievoca
molto bene la suggestione visiva del promo video, una fusione osmotica
che finisce gradualmente per assorbire ogni trasparenza. Il monocolore
diventa un manto sinuoso, una
sagoma liquida che inizia a danzare di una danza arcana, inquietante e
ipnotica fino ad assumere tutte le forme più disturbate e bizzarre che
la nostra mente va man mano attribuendogli sotto l’influsso e la
suggestione impresse dal ritmo.
Lusitania
è pura frenesia, una corsa indomita, una selvaggia prova di resistenza
che gioca sull’alternarsi spasmodico tra istinto, ferinità primitiva,
brama sensuale. Di grande effetto gli intercalare e i contrappunti dei
fiati che riportano a immaginari esotici e visioni oniriche. E il
simbolismo da magia occulta torna prepotente a riaffacciarsi nella
finale Il Quarto Occhio. Il classico dilagare per propulsione, che il precedente “The Ivy”
(2013) aveva ben definito, allestisce un rituale pagano,
l’ambientazione che prepara un rito iniziatico propiziatorio. Tra fumi
che stordiscono e assalti serrati si rimane prigionieri di un
incantesimo che raggela e risucchia, affascina e spaventa, intriga e
soggioga.
http://www.distorsioni.net/canali/dischi/dischi-it/nero
Nessun commento:
Posta un commento