martedì 31 agosto 2010

Recensione TGS su "HeavyWorlds.com"

A cura di Giovanni Mascherpa

Cos’è questa strana sensazione, cos’è questo vortice d’immagini che vanno in dissolvenza, si mischiano e si contorcono, sbragano in colori indefinibili e alimentano allucinazioni? Semplice, è l’effetto The Great Saunites, la conseguenza ineluttabile della loro musica acida e dilatata, un mistero che si scopre a poco a poco nei tre lunghi brani della loro prima uscita discografica.


Il sound del gruppo è molto minimale e privo di strutture ben definite e fa sicuramente riferimento a tutto le sensazioni tipiche dello stoner e della psichedelia, arricchite dalla sfrontatezza compositiva di tre ragazzi che fanno viaggiare la mente con la loro musica, senza offrire all’ascoltatore alcun aggancio, alcuna presa attraverso cui comprendere la reale natura di quello che sta sentendo.

I tre brani proposti emanano mistero, si schiude alle nostre orecchie uno scenario ambiguo fin dalle prime note di Bythia, contraddistinte da patterns di batteria tribali e da un basso padrone della situazione, con la chitarra relegata a un ruolo marginale, di estemporaneo arrangiamento. Tremolante, lenta, ipnotica, la prima canzone del disco porta con sé un senso di infinito e di indefinito, perfetto accompagnamento sonoro di un viaggio nel nulla che non conosce fine. Non ci sono impennate, non c’è un inizio vero e proprio e nemmeno una conclusione, solo un’implosione nel silenzio quando la traccia va a terminare. La voce, quando si ode, è intossicata e lontana da qualsivoglia emozione, distante dal reale e adagiata nella dimensione deviata tratteggiata dalla musica. Con Isaiah la situazione si fa, se vogliamo, più estrema, perché dopo un’apertura leggermente più movimentata si fanno spazio sonorità orientali, circolari e reiterate senza sosta, in totale assenza delle parti vocali e con pochi accordi di chitarra a far da contrappunto allo stesso loop che gira, gira, gira e finisce per ronzarti ossessivamente in testa. Più avanti il pezzo sembra aprirsi a un raggio di luce, un refolo d’aria nell’immobilismo in cui siamo attanagliati: fuoco di paglia, dopo si rallenta fino all’immobilismo. Siamo ora a Santiago, la nostra ultima tappa in questo tragitto di espiazione, che si distingue per una presenza più decisa della batteria, in special modo dei piatti, e per qualche leggera impennata rispetto alle cadenze slow tenute per la maggior parte del minutaggio. Il basso, molto valvolare, entra nel sinistro minimalismo del pezzo a ricreare un efficace clima di tensione, qui ancora più presente che nelle altre due tracce.

Con poche note ben calibrate e arrangiamenti essenziali i The Great Saunites hanno saputo creare un’opera prima suggestiva, di non facile assimilazione e a suo modo heavy, che a tratti ricorda gli ottimi Mydriasi, la band pyschedelic/stoner nelle cui file milita Geilt, bassista dei Doomsword. Al di là di questo estemporaneo paragone, il trio di Lodi vive di luce propria e promette di dare altre emozioni a chi si abbevera all’acida fonte dello stoner e della psichedelia. Andateli a scoprire.
 
 
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