di Michele Giorgi
Basta fare una semplice ricerca su questo sito per scoprire come Palmer Generator e The Great Saunites
siano due presenze costanti da sempre, oltre ad essere stati spesso
entrambi protagonisti di anteprime e streaming. Per questo, la nascita
di un’amicizia tra le due band in occasione dell’edizione 2016 del Field
Fest (un evento di cui siamo stati media-partner) e la conseguente
decisione di celebrarla con uno split in uscita per tre label da sempre
nel nostro radar non poteva che culminare in quest’anteprima offerta da
noi. Del resto, una delle nostre piccole manie è proprio quella di
cercare puntini da unire in un immaginario diagramma di realtà tra loro
apparentemente distanti eppure unite da un comune sentire e da un comune
approccio alla passione musicale libera e senza pregiudiziali di sorta.
Le due composizioni presenti, “Mandrie” a
firma Palmer Generator e “Zante” dei The Great Saunites, si dividono i
due lati di un vinile che in realtà sembra nato per essere fruito senza
soluzione di continuità seppure i due brani sembrino connotati da
personalità ben distinte e da differenti linguaggi. Eppure, proprio qui
sta il bello, le molte differenze non impediscono di godere di PGTGS
come si trattasse di un unico flusso in cui si alternano gli stili ma
non l’intima sostanza della musica da esso veicolata. Il suono dei
Palmer Generator (ovverosia la famiglia Palmieri) si incastra
esattamente a metà strada tra post-rock e psichedelia con un andamento
ipnotico che punta a trasportare l’ascoltatore in un vortice spaziale
dai sottili rimandi kraut. “Mandrie” è suddiviso in due parti che si
uniscono a formare una lunga suite in grado di toccare l’intero spettro
espressivo del trio e di evidenziarne la notevole coesione interna,
merito non solo dell’affinità personale ma anche dei moltissimi live
tenuti nel corso dei dieci anni di attività. I compagni di split (e come
già sottolineato amici) vengono da Lodi, dove si sono formati nel 2008,
sono Atros (bassi, tastiere) e Leonard Layola (tamburi, elettronica)
qui raggiunti da Paolo Cantù, altra nostra vecchia conoscenza,
alla chitarra e clarinetto per un brano dal taglio più sperimentale in
cui la reiterazione e la circolarità donano un mood peculiare eppure
altrettanto affine all’idea di psichedelia e di astrazione dal reale. Il
tutto è però reso in chiave minimalista e con un finale a sorpresa
lasciato ad un riff di matrice drone-doom in grado di riportare il
percorso su coordinate più corpose per chiudere il cerchio ideale dello
split. Questa comune pulsione, sebbene differente nella declinazione e
nell’approccio, costituisce il fil rouge del disco e ci permette, come
già sottolineato, di goderne in modo continuo senza quell’effetto di
rottura tipico dei lavori in cui ciascuno opera in completa autonomia,
riprova del fatto che lo spunto comune e il continuo confronto durante
la creazione di PGTGS ha portato una qualche forma di sintonia, pur
senza stravolgere le distinte personalità delle due realtà coinvolte. Il
risultato finale non mancherà di colpire gli ascoltatori più curiosi e
inclini al mettersi in gioco nell’esplorare diverse angolazioni di un
background meno distante di quanto si potrebbe pensare. Buon ascolto.
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